Consigli per una buona pratica (parte prima)
Trovare un posto tranquillo, dove non essere disturbati. Spegnere il televisore e tenere il telefono lontano (se possibile, spegnerlo o staccarlo). La temperatura deve essere abbastanza calda. Abbassare le luci, dato che l’oscurità parziale facilita il rilassamento profondo.
Un modo per onorare la pratica è dedicarle un luogo esclusivo.
Si può praticare al mattino appena svegli, a stomaco vuoto. Se la rigidità mattutina è un problema si può praticare nel pomeriggio o la sera, nelle ore in cui il corpo tende ad essere più flessibile.
Se a volte si è troppo impegnati da non avere il tempo di praticare, cercare almeno di fare qualche asana o degli esercizi respiratori. E’ possibile anche improvvisare qualche posizione ovunque ci si trovi. Per esempio, quando si oltrepassa una soglia, si possono afferrare gli stipiti e spingersi lievemente in avanti per stirare il torace, le spalle e le braccia; se si è seduti si può provare una torsione sulla sedia. Se si è malati oppure feriti si può eseguire qualche semplice esercizio di respirazione o una posizione facilitata con sostegno.
Un consiglio: se può essere utile, si può segnare sulla propria agenda l’orario della pratica, come si farebbe per qualsiasi altro appuntamento. Fare yoga tutti i giorni alla stessa ora aiuta la disciplina.
Spesso però subentrano tantissimi motivi, quasi scuse, che impediscono di imparare a praticare in modo costante. Cosa blocca verso questo cambiamento? Cosa ci impedisce davvero ad assumere una nuova abitudine?
Provocazione: essere flessibili è uno svantaggio?
Voglio lanciare questa provocazione segnalandovi questo interessante articolo del New York Times dal titolo “La flessibilità delle donne è uno svantaggio”. Parla di yoga ed è scritto da William J. Broad, l’autore diventato famoso l’anno scorso per aver pubblicato un libro sui rischi della pratica intensa, esercitata in maniera sempre più acrobatica da 20.4 milioni di persone negli Stati Uniti, ben l’8.7% della popolazione adulta. Ma lo yoga è davvero una performance atletica? Nello Yoga Sutra di Patanjali, il più significativo testo filosofico e pratico sullo yoga, solo in 3 passaggi dei 196 aforismi sono accennate posizioni fisiche. La disciplina è spiegata così: “yoga chitta vritti nirodhah – lo yoga è il controllo delle onde pensiero”.
Insomma la pratica millenaria può passare talvolta attraverso il corpo, ma è intesa come un allenamento della mente, un addestramento dei pensieri che, se lasciati alla deriva, possono talvolta avere il potenziale di un’arma di distruzione di massa. L’antica e allo stesso tempo attualissima filosofia dello Yoga Sutra promuove una disciplina mirata al riequilibrio delle emozioni, che possono trasformarsi in una poderosa fonte di dolore. Sofferenza dalla quale è lecito, anzi, doveroso esercitare il distacco sulla via della realizzazione umana e spirituale, per il proprio diritto alla felicità.
Dove nasce dunque il malinteso che porta sempre più persone anche in Italia (i praticanti secondo l’ultimo censimento sono 1.2 milioni) a infortunarsi lungo la via di un percorso prevalentemente incorporeo?
William Broad ha certamente le sue ragioni nel descrivere come un numero in aumento di uomini, ma soprattutto di donne nonostante la maggiore flessibilità, si sottopongano a interventi chirurgici e terapie riabilitative in seguito a lezioni troppo intense. Sessioni che, al contrario, dovrebbero promuovere benessere fisico, mentale e spirituale. Quasi dieci miliardi e mezzo di dollari sono investiti dal popolo d’oltreoceano in lezioni, abbigliamento, tappetini, letteratura yoga, video e altri accessori.
Il problema non è lo yoga, ma forse come viene ormai troppo spesso inteso e praticato. È la natura stessa degli esseri umani che spinge a varcare la soglia tra filosofia e competizione. Un passaggio molto pericoloso dove l’obiettivo diventa sfidare il proprio corpo e quello della persona che occupa il tappetino accanto. Una inutile dichiarazione di guerra alla propria resistenza fisica e mentale, che si traduce in una sessione di sudore e acrobazie innaturali, decorate da costoso abbigliamento.
Come molte discipline orientali, anche lo yoga propone un lavoro minuzioso di abbandono dell’ego. Ciò a cui si dovrebbe aspirare è l’abbandonare una logica di vita intesa come spasmodica ricerca di riconoscimento personale, potere, denaro, competizione e volontà di primeggiare sugli altri. La pratica favorisce così una forma di equilibrio interiore, di “unione” come indica lo stesso termine yoga, come via di liberazione dal dolore mentale, fisico e spirituale.
Partendo da questa condizione dell’essere umano, che ha trasformato oggi la malattia mentale e la sofferenza emotiva in un’emergenza di proporzione mondiale, è indubbio che esercitarsi in posizioni fisiche, imparare a dominare l’arte del respiro e della concentrazione, nutrire il corpo e la mente in maniera positiva, rappresenta un primo passo fondamentale verso la liberazione dal dolore. Riposizionare l’individuo in un atteggiamento di servizio al mondo, in una visione che scavalca l’ossessione personale dettata dal senso d’inadeguatezza e dalla valutazione costante, aiuta noi stessi e gli altri.”
Cosa ne pensate?
Posizione del pesce: matsyasana
Quest’asana lavora sulla zona dorsale, una zona poco disponibile alla flessibilità perché di solito deve proteggere il cuore.
Le posizioni che aiutano a sbloccare questa parte della schiena e a ben predisporre per assumere tale asana sono:
- bidalasana
- ponte
- cobra
- sfinge
- cammello
- la devozione
- il pavone da seduto
Di sera è consigliato praticare prima il pesce e poi la pinza; al mattino viceversa.
Assumere questa posizione, da un punto di vista psicologico e simbolico, aiuta a rovesciare il proprio punto di vista: aiuta ad annullare un’abitudine, quella di vedere le cose sempre dallo stesso punto di vista.
Vi aspetto per praticarla insieme!
Om shanti.