Voglio lanciare questa provocazione segnalandovi questo interessante articolo del New York Times dal titolo “La flessibilità delle donne è uno svantaggio”. Parla di yoga ed è scritto da William J. Broad, l’autore diventato famoso l’anno scorso per aver pubblicato un libro sui rischi della pratica intensa, esercitata in maniera sempre più acrobatica da 20.4 milioni di persone negli Stati Uniti, ben l’8.7% della popolazione adulta. Ma lo yoga è davvero una performance atletica? Nello Yoga Sutra di Patanjali, il più significativo testo filosofico e pratico sullo yoga, solo in 3 passaggi dei 196 aforismi sono accennate posizioni fisiche. La disciplina è spiegata così: “yoga chitta vritti nirodhah – lo yoga è il controllo delle onde pensiero”.
Insomma la pratica millenaria può passare talvolta attraverso il corpo, ma è intesa come un allenamento della mente, un addestramento dei pensieri che, se lasciati alla deriva, possono talvolta avere il potenziale di un’arma di distruzione di massa. L’antica e allo stesso tempo attualissima filosofia dello Yoga Sutra promuove una disciplina mirata al riequilibrio delle emozioni, che possono trasformarsi in una poderosa fonte di dolore. Sofferenza dalla quale è lecito, anzi, doveroso esercitare il distacco sulla via della realizzazione umana e spirituale, per il proprio diritto alla felicità.
Dove nasce dunque il malinteso che porta sempre più persone anche in Italia (i praticanti secondo l’ultimo censimento sono 1.2 milioni) a infortunarsi lungo la via di un percorso prevalentemente incorporeo?
William Broad ha certamente le sue ragioni nel descrivere come un numero in aumento di uomini, ma soprattutto di donne nonostante la maggiore flessibilità, si sottopongano a interventi chirurgici e terapie riabilitative in seguito a lezioni troppo intense. Sessioni che, al contrario, dovrebbero promuovere benessere fisico, mentale e spirituale. Quasi dieci miliardi e mezzo di dollari sono investiti dal popolo d’oltreoceano in lezioni, abbigliamento, tappetini, letteratura yoga, video e altri accessori.
Il problema non è lo yoga, ma forse come viene ormai troppo spesso inteso e praticato. È la natura stessa degli esseri umani che spinge a varcare la soglia tra filosofia e competizione. Un passaggio molto pericoloso dove l’obiettivo diventa sfidare il proprio corpo e quello della persona che occupa il tappetino accanto. Una inutile dichiarazione di guerra alla propria resistenza fisica e mentale, che si traduce in una sessione di sudore e acrobazie innaturali, decorate da costoso abbigliamento.
Come molte discipline orientali, anche lo yoga propone un lavoro minuzioso di abbandono dell’ego. Ciò a cui si dovrebbe aspirare è l’abbandonare una logica di vita intesa come spasmodica ricerca di riconoscimento personale, potere, denaro, competizione e volontà di primeggiare sugli altri. La pratica favorisce così una forma di equilibrio interiore, di “unione” come indica lo stesso termine yoga, come via di liberazione dal dolore mentale, fisico e spirituale.
Partendo da questa condizione dell’essere umano, che ha trasformato oggi la malattia mentale e la sofferenza emotiva in un’emergenza di proporzione mondiale, è indubbio che esercitarsi in posizioni fisiche, imparare a dominare l’arte del respiro e della concentrazione, nutrire il corpo e la mente in maniera positiva, rappresenta un primo passo fondamentale verso la liberazione dal dolore. Riposizionare l’individuo in un atteggiamento di servizio al mondo, in una visione che scavalca l’ossessione personale dettata dal senso d’inadeguatezza e dalla valutazione costante, aiuta noi stessi e gli altri.”
Cosa ne pensate?